4 novembre, 2024 - Ferdinando Ametrano, pubblicato su Il Foglio
“Plusvalenze da bitcoin: visto che questo fenomeno va diffondendosi, prevediamo un aumento della ritenuta dal 26% al 42%”. Così ha dichiarato Maurizio Leo, viceministro Economia e Finanze, presentando la legge di bilancio 2025. La proposta appare subito iniqua rispetto al 26% tipico delle attività finanziarie e non sfugge l’inusuale argomento “visto che va diffondendosi”.
Quello che nelle parole di Leo è solo accennato, viene chiarito da Capponi su Milano Finanza: secondo “fonti vicine alla stesura della norma” l’aumento dell’aliquota vuole disincentivare l’investimento in criptovalute per valorizzare invece la “funzione sociale del risparmio” quando è “al servizio dell’economia reale e della crescita del paese”.
Se rimanessero dubbi li spazza via Cornelli, commissario Consob, con un intervento su Avvenire: “il risparmio in criptovalute non presenta fondamentali caratteristiche di utilità sociale”. Per questo è legittimo “calibrare la tassazione [degli investimenti] a seconda di come si pongono all’interno del sistema di trasmissione che lega finanza e economia”. Cornelli aggiunge che nulla viene “toccato con riferimento al possesso, che rimane certamente possibile”: bontà sua, forse il residuale rispetto sul quotidiano dei vescovi italiani per il “non rubare” e “non desiderare la roba d’altri” del decalogo mosaico.
Paradossali le parole del presidente dell’Abi Patuelli: “capisco che qualcuno protesta perché c’era una […] tassazione agevolata […] Perché le istituzioni dovrebbero fare questo favore al bitcoin?”. Siccome il 26% non era un’agevolazione e il 42% è invece una discriminazione, ci si domanda se sia ignoranza su temi fiscali o disonestà intellettuale.
La proposta viola principi basilari di equità fiscale e uguaglianza introducendo una distinzione tra gli investimenti diretti in cripto-attività, tassati al 42%, e gli investimenti indiretti tramite fondi d’investimento (ETF, ecc.) o derivati che rimarrebbero al 26%. È iniqua perché discriminatoria: l’intento è evidente, perfino rivendicato da Cornelli. Per di più, è anticostituzionale perché “la legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali” (art. 41) ma la Costituzione non affida al legislatore un ruolo di indirizzo su investimenti e risparmi, anzi “incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme” (art. 47).
L’Europa, peraltro, ha una valutazione radicalmente diversa del fenomeno cripto rispetto al legislatore e regolatore italiano. Il preambolo del regolamento dei Mercati in Cripto-Attività dichiara che “L’Unione ha un interesse politico nello sviluppo e nella promozione dell’adozione di tecnologie trasformative nel settore finanziario […] che, insieme al settore stesso delle cripto-attività, porteranno a una crescita economica e a nuove opportunità di lavoro per i cittadini dell’Unione”.
Il tema cripto ha rilevanza persino nella corsa alla Casa Bianca. Trump dichiara che “Bitcoin rappresenta libertà, sovranità e indipendenza dalla coercizione e dal controllo del governo”. Promette la costituzione di una riserva Bitcoin come “scorta nazionale strategica” e che “avremo regolamentazioni ma le regole saranno scritte da persone che […] vogliono vedere l’industria [cripto] prosperare, non affondare”.
Come evidenziato nell’ultimo rapporto dell’Organismo Agenti e Mediatori (OAM), in Italia ci sono 150 Virtual Asset Service Providers e il settore vale €2.7 miliardi, con un aumento dell’85% rispetto al 2023: un’industria significativa che genera indotto e posti di lavoro.
Dovesse concretizzarsi l’aumento dell’aliquota, il contesto fiscale sfavorevole diminuirebbe la rilevanza del mercato italiano: le aziende sposterebbero focus e operatività in paesi con normativa più attraente per il capital gain, come Svizzera (nessuna tassazione) o Germania (nessuna tassazione su investimenti detenuti almeno 12 mesi). L’Italia rischia quindi di perdere competenze e infrastrutture strategiche legate alle cripto-attività, ritrovandosi con un ecosistema digitale meno dinamico e competitivo a livello globale.
I 3,6 milioni di italiani che hanno investito in cripto (fonte Osservatorio Blockchain Politecnico di Milano) hanno anticipato Blackrock e Fidelity, leader dell’asset management internazionale: questi a gennaio hanno lanciato l’ETF Bitcoin, superando di slancio i $30 miliardi di raccolta. Bitcoin è l’asset più redditizio dell’ultimo decennio, il nono al mondo oggi per capitalizzazione.
La ragionevolezza dell’investimento Bitcoin è ancorata nella bassa correlazione con le altre asset class: riduce il rischio di un portafoglio di investimento a parità di rendimento atteso (fonte Digital Gold Institute), tanto che la Research Institute Foundation degli Analisti Finanziari Certificati (CFA) suggerisce dal 2021 di allocare il 2,5% del portafoglio di investimento in Bitcoin.
Inoltre, come evidenziato nell’ultimo rapporto OAM, il 65% degli investitori cripto ha meno di 40 anni. Mingardi sul Corriere della Sera osservava che “la scarsa propensione al risparmio dei giovani è oggetto di continui interventi di educazione finanziaria. La lontananza fra il mondo degli intermediari finanziari e i nativi digitali non aiuta: le cripto fanno invece parte del mondo di questi ultimi che ci investono i loro risparmi. Ha senso colpire lo strumento di investimento privilegiato dalla loro generazione?”.
D’altronde nel 2022 il governatore di Banca d’Italia Panetta, allora nel direttivo BCE, definiva le cripto-attività “un gioco d’azzardo, […] una scommessa camuffata da strumento d’investimento” e aggiungeva che “gli strumenti assimilabili al gioco d’azzardo dovrebbero essere trattati come tali”. Un suggerimento balzano ma che oggi sarebbe utile: il gioco d’azzardo viene tassato tra l’8% e il 20% quando il biscazziere è lo Stato, fino al 25% quando è gestito da altri.
Ma anche il ministro Giorgetti: “I risparmiatori sappiano distinguere tra investimenti che finanziano progetti tangibili e altre forme di investimento come le criptovalute, il cui valore è scollegato da beni sottostanti”.
Il problema è che tanti non hanno ancora compreso Bitcoin: un bene digitale trasferibile ma non duplicabile, scarso in ambito digitale come null’altro prima. La scarsità consente di acquisire valore: la Gioconda è bellissima ma ha un valore di mercato inestimabile perché unica; se ne esistessero miliardi di copie, il valore di mercato crollerebbe a zero. La scarsità di Bitcoin richiama quella dell’oro in natura: Bitcoin è l’equivalente digitale dell’oro. Se riflettiamo sul ruolo dell’oro nella storia della civiltà, della moneta e della finanza, è evidente la rilevanza di Bitcoin nell’attuale civiltà digitale e nel futuro della moneta e della finanza. Quello che internet è stata per l’informazione, Bitcoin lo è per la trasmissione del valore.
Le stime di gettito dell’imposta sono trascurabili: meno di 17 milioni. Troppo poco per rischiare l’accusa di incostituzionalità e distruggere le premesse del gettito futuro. L’aumento sproporzionato dell’aliquota avrebbe, infatti, l’effetto controproducente di spingere i capitali cripto più significativi all’estero. Come sosteneva Einaudi “gli esportatori illegali di capitale sono benefattori della Patria, perché i capitali scappano quando i governi [sono] dissennati e […] portandoli altrove li salvano dallo scempio e li preservano per una futura utilizzazione, quando sarà tornato il buon senso”. Inoltre, la platea degli investitori che detengono cripto-attività direttamente o tramite intermediari non autorizzati, oggi maggioritaria, sarebbe incentivata a non emergere. Anzi, anche altri sarebbero spinti verso operatori opachi e non autorizzati. Infine, per limitare l’impatto fiscale gli investitori più piccoli potranno realizzare il capital gain entro la fine del 2024, con evidenti effetti distorsivi del mercato, per poi rientrare in Bitcoin tramite ETF tassati al 26%.
Eppure, era stato proprio questo Governo con la legge di bilancio 2023 a colmare un grave buco legislativo, fornendo finalmente un quadro fiscale perfettibile ma chiaro. L’intervento aveva tolto gli investitori dall’incertezza, consentendo di adempiere agli obblighi fiscali. Questo percorso verrebbe oggi compromesso da un cambio di regole irragionevole e ingiusto, incrementando il malcontento e inducendo all’evasione.
Inoltre, la proposta di aumento dell’aliquota rappresenta una clamorosa smentita dell’intenzione dichiarata dal Governo di non aumentare le tasse, favorire i giovani e le aziende. Infatti, la Lega ha già preso le distanze: Centemero, presidente della Commissione Finanze, ha dichiarato che la proposta “è controproducente perché spinge al sommerso, mentre noi vogliamo tutelare i piccoli risparmiatori, accompagnare un mercato in crescita, che è il futuro ed è usato da tanti italiani. Inoltre c’è un tema di allineamento geopolitico: noi lavoriamo con Musk e sosteniamo Trump e la loro posizione è chiara”. Subito dopo ci sono state dichiarazioni contro l’aumento di Forza Italia (Occhiuto) e, in una rara convergenza dell’arco parlamentare, della segreteria Pd (Misiani), del Movimento 5 Stelle e di esponenti del Gruppo Misto (Marattin).
Chi teme uno Stato vessatorio può trovare conforto e speranza nelle parole di Einaudi che valorizza la resistenza fiscale, anche quando costretta a diventare frode: “non è male che il tentativo di costringere tutti a pagare le altissime aliquote italiane incontri una vivace resistenza. La frode [fiscale] persistente costringe a riflettere se non convenga ridurre le aliquote per indurre i contribuenti a miglior consiglio. Il reato fiscale non è quindi sempre senza frutti: poiché ad esso si deve se qualcosa si ottenne in materia di minorazioni di aliquote: e più si otterrà quando tutti si convincano della necessità di semplificare ed attenuare le asprezze e le complicazioni delle nostre leggi”. Come cittadino e investitore, constato con turbamento l’ingiustizia della proposta di aumento, con preoccupazione le ragioni adottate, con simpatia le proteste che si sono levate, con piena approvazione le iniziative di resistenza che saranno intraprese.
Sono ancora più preoccupato come imprenditore del settore: la mia azienda sta chiedendo le conferme autorizzative per operare secondo il nuovo regolamento europeo dei Mercati in Cripto-Attività. Valutazioni e controlli sono affidati a Banca d’Italia e Consob: se questi dovessero essere i pregiudizi culturali con cui affronteranno il tema, temo per noi e per l’industria cripto italiana.
Per questo, con le principali aziende del settore, abbiamo chiesto un confronto al Ministero dell’Economia e Finanze. L’appello è stato firmato anche dai migliori professionisti e dalle principali realtà universitarie in ambito cripto. Si potranno trovare soluzioni che, aumentando il gettito, supportino la crescita economica del Paese senza ingiustizie, senza compromettere la fiducia degli investitori e soffocare gli imprenditori. Ad esempio, incentivi per far emergere il sommerso e incoraggiare i fornitori di servizi a svolgere il ruolo di sostituto d’imposta.
Solo con una regolamentazione equilibrata l’Italia potrà cogliere le opportunità offerte dall’ecosistema cripto e consentire lo sviluppo di un sistema finanziario moderno, inclusivo e competitivo. Forte della sua capacità di risparmio, l’Italia ha la possibilità e la necessità di posizionarsi come un hub di innovazione finanziaria: per farlo sono necessarie politiche fiscali equanimi e orientate alla crescita, non punitive e discriminatorie.
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